“Siri” ci spia. Multa da 95 milioni per Apple. Ma resta il problema etico…

“Siri“, come probabilmente già saprete, è l’assistente vocale di proprietà Apple, utilizzata quotidianamente con tutti quei dispositivi in grado di “comunicare” tra di loro, ovvero, tra loro e l’uomo, rendendo le nostre case “intelligenti”.
Tramite “Siri” – così come pure però come con altri dispositivi analoghi di altre marche – si può accendere o spegnere la luce, mettere e togliere l’allarme, aprire e chiudere una tapparella, ascoltare musica, etc.; e tutto questo è possibile perché noi “comandiamo” e “Siri” ci ascolta ed esegue il comando.
Siamo costantemente ascoltati…
Ci ascolta, appunto. Questo “ascoltare”, a ben vedere, se da un lato ci semplifica la vita, dall’altro apre a profondi interrogativi etici e corre il rischio di limitare fortemente la nostra libertà, senza neppure che ce ne rendiamo conto. Chi ci ascolta, infatti, e quando? Soltanto quando lo vogliamo noi, oppure sempre? E dove vanno a finire le conversazioni ascoltate, e per quanto tempo vengono conservate?
La class action contro Apple
Nel caso specifico che intendo commentare in questo articolo, “Siri” si sarebbe attivata “accidentalmente”, da sola, ascoltando e profilando i consumatori e quindi, di conseguenza, inviando messaggi pubblicitari agli stessi su prodotti commerciali oggetto delle conversazioni ascoltate.
E così, negli USA, è stata avviata una class action dei consumatori contro Apple per violazione della privacy, che Apple ha accettato di chiudere per una cifra intorno ai 95 milioni di dollari.
Una cifra che potrebbe sembrare alta ma che, in realtà, è irrisoria in quanto, secondo l’agenzia Reuters, corrisponderebbe ad appena nove ore di profitto, per Apple.
Il rischio di deriva totalitarista.
E resta il problema etico.
Secondo chi scrive, infatti, stiamo vivendo un’esperienza di controllo sociale e di dittatura commerciale peggiore dell’esperienza vissuta nell’epoca dei totalitarismi del secolo scorso, atteso che ieri il “mostro” era evidente, si palesava come tale e quindi poteva essere combattuto. Oggi, invece, il mostro è invisibile e diffuso, non adopera la forza fisica e ci porta addirittura ad osannarlo e ad invocarlo come un nuovo messia.
Ci crediamo liberi e invece siamo fortemente schiavi di un sistema che ormai ha soggiogato anche la politica, travalicando i confini statali ed istituzionali di ogni genere.
Senza rendercene conto siamo entrati in un’epoca nuova, pericolosissima per la tenuta dell’impianto giuridico-politico che abbiamo costruito negli ultimi 80 anni. Ma, senza dilungarci troppo, di questo avremo modo di parlarne un’altra volta.
Regione Puglia. Pratica sportiva: nuovi bandi in scadenza

La Regione Puglia ha recentemente pubblicato due bandi per il sostegno alla pratica sportiva.
Si tratta in particolare dell’Avviso F, rivolto a Comuni, ASD, SSD e EPS, per l’acquisto di attrezzature tecnico-sportive. Il finanziamento regionale può arrivare a coprire fino ad un massimo del 90% della spesa da sostenersi, e comunque non oltre i 9.000,00 Euro. La domanda, da inoltrare esclusivamente per via telematica tramite apposita piattaforma, può essere inviata dalle ore 15:00 del 7 ottobre 2024 alle ore 11:59:59 del 28 ottobre 2024.
Il secondo bando è invece l’Avviso G e riguarda la concessione di contributi a favore della pratica sportiva degli atleti con disabilità. Il contributo regionale riconosciuto a fondo perduto può arrivare fino al 95% delle spese ammissibili, e comunque non potrà superare i 12.000,00 Euro. La domanda, in questo caso, da presentarsi con la modulistica predisposta dalla Regione Puglia, dovrà essere inviata a mezzo pec dalle ore 8:00 del 7 ottobre 2024 alle ore 14:59:59 del 28 ottobre 2024.
Lo studio legale Avv. Vincenzo Russo assiste Comuni, Enti privati e cittadini per la predisposizione e l’invio delle domande.
Responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione

Come noto, nei rapporti tra privato e Pubblica Amministrazione, vige il principio di buona fede e di legittimo affidamento il cui rispetto impone, tra l’altro, che la Pubblica Amministrazione adotti un comportamento sempre rispettoso sia delle norme di diritto pubblico, sia pure delle clausole generali di lealtà e correttezza, la cui violazione può determinare anche una forma di responsabilità precontrattuale della P.A. nei confronti del privato (si veda Cons. di Stato n. 7574/2024).
La vicenda
Di recente questi principi sono stati ribaditi dal Consiglio di Stato, il quale ha avuto modo di pronunciarsi su di una vicenda in cui una S.R.L., dopo essere risultata aggiudicataria di una procedura di gara, aveva dovuto attendere ben 8 anni prima che la P.A. le chiedesse la disponibilità all’esecuzione dei lavori.
Sennonché, in tale periodo, la SRL aveva perso la qualificazione SOA e, nel dare disponibilità al Ministero, aveva sopperito a tale carenza sopravvenuta per il tramite di un contratto di avvalimento. La P.A., di contro, non ritenendo sufficiente il contratto di avvalimento, ha proceduto alla revoca dell’aggiudicazione, non stipulando quindi alcun contratto con la SRL.
Comportamento scorretto e responsabilità
Dal richiamato supremo consesso amministrativo, che ha dato ragione alla SRL ricorrente (anche a causa dell’eccessivo ed immotivato ritardo che ha avuto la P.A. nello giungere alla stipulazione contrattuale) ne deriva che la P.A. non può comportarsi in maniera scorretta, a pena di incappare in una responsabilità di tipo precontrattuale da cui, rispettando gli ordinari criteri dell’onere della prova, può derivare anche un danno per il privato, suscettibile di essere economicamente risarcito.

Quando la società di recupero crediti NON può pretendere il pagamento dal debitore.

Sarà capitato un po’ a tutti di essere contattati con insistenza da una qualche Società di Recupero Crediti che, premettendo di essere cessionaria di crediti da parte di una Banca, di una Finanziaria, o anche di società di erogazione di servizi (luce, acqua, gas, pay tv, etc.), richiede il pagamento del dovuto, minacciando azioni legali.
Bene, una recente sentenza del Tribunale di Palermo ha fatto luce su un aspetto essenziale della questione e, annullando debiti per circa 70.000 euro che gravavano su una coppia di debitori, ha stabilito che “Non basta presentare una lista dei soldi da incassare con i nomi dei debitori, ma bisogna dimostrare tutti gli elementi necessari a identificare con precisione l’operazione“.
La prova necessaria a legittimare la pretesa creditoria
La sentenza in questione, in altre parole, stabilisce che, affinché la pretesa creditoria della Società di Recupero Crediti sia considerata legittima, è necessario che quest’ultima, non soltanto dia prova dell’avvenuta cessione in blocco dei crediti a suo favore da parte del creditore cedente, ma anche – qualora il debitore contesti l’esistenza del contratto a monte che legittima il credito – che quel contratto ci sia e sia valido.
La posizione della Corte di Cassazione
La sentenza del Tribunale di Palermo si pone sostanzialmente il linea con l’orientamento della Corte di Cassazione, per la quale “ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente la produzione dell’avviso sulla Gazzetta Ufficiale” dell’acquisto in blocco dei crediti, che “non prova l’avvenuta cessione“. Per “poter fungere da prova dell’avvenuta cessione dei crediti in blocco” deve “contenere tutti gli elementi necessari a identificare con precisione il credito”.
Adeguamenti normativi obbligatori per ASD e SSD.
LA TUTELA DEI DATI PERSONALI ED IL SAFEGUARDING

Le ASD e le SSD sono tra i soggetti giuridici obbligati per legge ad adeguarsi alle normative in materia di protezione dei dati personali e di Safeguarding.
GDPR e tutela dei dati personali
La normativa che disciplina la tutela dei dati personali è principalmente il Regolamento UE n. 679/16, noto come GDPR (acronimo di “General Data Protection Regulation”, in vigore in Italia dal 25 maggio 2018, al quale si è adeguato anche il nostro Codice della Privacy.
Tale regolamento cambia radicalmente il modo attraverso cui le persone giuridiche devono approcciarsi al trattamento dei dati personali delle persone fisiche (vengono introdotti i concetti di “Privacy by design” e di “Privacy by default“), imponendo, tra le altre cose, l’adozione di prassi e protocolli ben definiti al fine di ridurre al minimo il rischio di “data breach”, vale a dire perdita o danneggiamento intenzionale o non intenzionale di dati personali. L’adeguamento alla normativa europea richiede inoltre un alto grado di consapevolezza e dunque di istruzione in materia di tutela dei dati personali, sia da parte di chi è titolare del trattamento (nel caso specifico del Presidente della ASD o SSD) sia da parte di tutti coloro che, nell’ambito dell’attività associativa/societaria, si ritrovano, in un modo o nell’altro, a trattare dati personali degli iscritti. Il mancato adeguamento può portare a sanzioni anche molto elevate che, a seconda dei casi, possono arrivare anche a 2 o anche 4 milioni di euro.
Safeguarding contro ogni forma di discriminazione e abuso
La normativa sul Safeguarding invece è rinvenibile, in particolare, nell’art. 16 del D. Lgs. n. 39/2021 che impone, tra l’altro, l’adozione di modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori, e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione. Anche in questo caso, dunque, le ASD o SSD, per non andare incontro a sanzioni, hanno l’obbligo di adeguarsi al disposto normativo entro il 31.12.2024, adottando formalmente procedure, modelli e codici di condotta: atti, questi, che andranno poi resi facilmente consultabili, anche quindi attraverso la pubblicazione sul sito internet, qualora le ASD o SSD ne abbiano uno.
Affidati allo Studio Legale Avv. Vincenzo Russo
I tecnicismi della legge suggeriscono l’affidamento delle pratiche di adeguamento ad un professionista del settore. Lo studio legale Avv. Vincenzo Russo è competente per l’adeguamento richiesto sia dalla normativa sulla tutela dei dati personali sia sulla normativa in materia di safeguarding.
Carburante sporco: chi è tenuto al risarcimento tra il gestore dell’impianto e il fornitore del carburante?
Per i danni da carburante sporco, il consumatore può convenire in giudizio sia il gestore dell’impianto sia il fornitore originario del carburante. E’ importante però dare una fondata prova del danno subito e della sua riconducibilità al difetto della merce acquistata.