Fare rifornimento con del carburante sporco potrebbe determinare danni al veicolo a motore. In questi casi, chi è tenuto a risarcire il danno: il gestore dell’impianto o il fornitore del carburante?
Chiunque guidi un veicolo a motore è necessariamente costretto a fermarsi, di tanto in tanto, presso un distributore di carburante per fare rifornimento. In in questi casi, purtroppo, ci si potrebbe trovare con la spiacevole sorpresa di immettere nel serbatoio del nostro mezzo del carburante “sporco”, non perfettamente raffinato o, peggio ancora, annacquato. Ciò potrebbe portare ad avere un malfunzionamento del motore, con necessità di ricorrere al meccanico per le dovute riparazioni, che spesso e volentieri risultano essere molto salate. Che fare in questi casi? E’ possibile fare causa al gestore dell’impianto da cui abbiamo fatto rifornimento, oppure bisogna rivolgere le nostre pretese verso l’originario fornitore del carburante?
La questione potrebbe porsi se pensiamo che lo stesso gestore dell’impianto (alias il benzinaio), come noi malcapitati, potrebbe essere ignaro della sporcizia del carburante venduto. Ed allora, chi ci ripagherà?
Le vendite a catena e la doppia tutela del consumatore.
La compravendita del carburante rientra nella casistiche delle cc.dd. “vendite a catena”, ossia quelle compravendite in cui un bene viene acquistato per essere poi rivenduto, sicché il primo acquirente diviene successivamente venditore del medesimo bene. Ecco, in tutti questi casi, la giurisprudenza è ormai pacificamente orientata a concedere una doppia tutela al consumatore che ha acquistato un bene difettoso, sicché lo stesso può quindi rivolgersi indifferentemente al gestore dell’impianto oppure direttamente al primo fornitore. Se si sceglie la prima strada (ossia, si chiama in causa il benzinaio), questi potrebbe a sua volta chiamare in causa il fornitore, verso il quale lui stesso si pone come acquirente.
Resta il fatto che, al fine di ottenere un risarcimento, sul consumatore che agisce in giudizio grava l’onere probatorio relativo al nesso eziologico (relazione causa-effetto) tra danno sofferto e prodotto difettoso (dunque carburante sporco) ed ovviamente il consumatore dovrà dimostrare di essersi rifornito proprio a quel distributore gestito dal soggetto chiamato in giudizio.
Una delle più recenti pronunce su questo argomento è la sentenza del Tribunale di Lucca n. 283/2024.
“… mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti. …” (cfr. Tribunale di Lucca, Sentenza n. 283/2024 del 06-03-2024)
Con questo principio, il Tribunale di Lucca ha dato ragione al consumatore che aveva comunque dimostrato – sebbene non oltre il ragionevole dubbio, ma con una fondata probabilità – che i danni sofferti dal proprio autoveicolo erano riconducibili alla scarsa qualità del carburante immesso durante il rifornimento.
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